
I Racconti
Negli anni Laura ha scritto diversi racconti, inseriti in questa raccolta. Si tratta di brevi storie non collegate una all’altra, scritte in vari momenti della sua vita.
Di seguito potrai leggere tre di questi racconti Luce, Lettera dalla prigione e Viaggio nell’Ignoto.
LEGGI LA RACCOLTA DI RACCONTI
LUCE
C’era una volta in una terra ignota, dispersa nei secoli e nel ricordo, Dafne, una bambina sempre sola, che non aveva amici, né affetti familiari. I suoi occhi non avevano mai percepito immagini, infatti lei era cieca, così come tutti gli abitanti di quelle terre. Ognuno viveva nel proprio mondo di illusioni e non amava condividerlo con gli altri.
Il giorno si confondeva con la notte, i mesi con gli anni; il tempo era solo una scusa per non accorgersi dell’inutilità della vita. In paese si narrava di un ipotetico fiore variopinto, chiamato Luce, che dicevano crescesse sul monte più alto ai confini del villaggio. Alcuni credevano che questo splendido fiore avrebbe potuto restituire la vista a chiunque lo cogliesse e lo portasse via con sé. Molti lo avevano cercato ma nessuno lo aveva mai trovato.
Un giorno, Dafne si recò al Lago dei Sogni, un luogo incantato, dove regnava la felicità. Nella sua mente lo aveva sempre idealizzato ma il suo vero desiderio era di poterlo vedere nelle sue forme reali. Temeva però che vedendolo le sue aspettative potessero essere deluse, ma allo stesso tempo i dolci suoni che ivi si udivano le trasmettevano paradisiache sensazioni.
Mentre ascoltava in silenzio il tenero cinguettio degli uccelli e il lieve flettersi di ali, sentì avvicinarsi qualcuno. “Chi va là?” Chiese. In risposta udì un nitrito. “Un cavallo?” Tese quindi la mano in cerca di una criniera da accarezzare. “Mi chiamano Black Angel e sono un cavallo alato” Disse l’animale.
“Un cavallo alato?” Ribatté lei. “Sì, non sapevi della nostra esistenza?” Rispose lui. “Ne avevo sentito parlare ma non ne avevo mai incontrato uno prima d’ora. Posso accarezzarti?” Chiese la ragazza mentre la sua mano sfiorò la pelle dell’essere. “Io sono Dafne.” “Lo so, piccola.” Ribatté il cavallo. “Come fai a saperlo?” Chiese incuriosita. “Sono qui per te. I tuoi occhi non vedono, vero?” “I miei occhi non hanno mai visto. Dimmi com’è questo luogo?” “Il Lago dei Sogni è fantastico e, come tale, non può essere descritto, perché così come appare a me può non apparire a te.” “Ma io non vedo…” “Tu vedi ciò che nessun altro essere può vedere. Vedi quello che c’è dentro di te.”
“Ma io vorrei vedere ciò che è fuori di me.” “Però sai che potresti pentirtene, perché rinunceresti a questo mondo e conosceresti cose non facili da accettare.” “Hai probabilmente ragione, ma mi piacerebbe rischiare.” “Se questo è il tuo desiderio, allora aggrappati alla mia criniera e monta su.” Concluse Black Angel in attesa che la ragazza salisse in groppa. Insieme spiccarono il volo.
L’aria fischiava di un tono acuto e fastidioso alle orecchie della bambina, ansiosa di ricevere il dono più bello della sua vita. Sorvolarono vaste zone, ma il tempo scorreva velocemente incalzato dall’entusiasmo di Dafne.
“Siamo quasi giunti.” Disse all’improvviso Black Angel. “Dove siamo?” Chiese lei. “Hai mai sentito parlare del fiore Luce?” “Sì, molte volte.” Disse lei. “Bene perché tra poco lo sorvoleremo. Quando ti do il via, allunga la mano e coglilo.” Aggiunse lui mentre la tensione aumentava ed il cuore della ragazza iniziava a pulsare più velocemente. Quando lui disse “Ora!” lei fece come lui aveva chiesto e, allungando il braccio, colse il fiore che volò via con loro.
Dafne non aveva mai sentito un profumo così intenso e allo stesso tempo delicato. Il cielo azzurro incominciava a rabbrunarsi dopo un giorno di splendore. Le nubi sparse si diradavano spezzate dalle ali nere di Angel sopra un mondo inconsapevole, che si dimenava nella propria cecità per portare avanti al meglio la propria sopravvivenza.
La sagoma del cavallo e della ragazza si fece sempre più inconsistente fino a che scomparve nell’immenso.
A MIO FRATELLO
Spero che questa lettera ti trovi felice e spensierato, come il giorno in cui ci siamo lasciati.
La tua immagine mi accompagna ogni giorno nella mia lotta per la sopravvivenza, il tuo volto mi guida verso la luce che appare debole in fondo al lungo tunnel di questa triste vita.
Ti scrivo da una stanza semivuota dalle nude pareti inasprita dall’aroma di caffè che si propaga per i corridoi bui della struttura. La pietà di questa gente è come una mano tesa che mi offre un’opportunità di uscire da questo vortice continuo diretto verso il nulla. Siamo esseri disprezzati dal mondo frenetico che ci circonda e ci travolge durante la sua inesorabile corsa verso una meta sconosciuta.
Siamo fantasmi urbani senza volto, che alziamo la voce in cerca di aiuto, scomparendo e riapparendo sull’asfalto umido e freddo delle vie del centro; anime perse e dimenticate dalla società perbenista che vorrebbe scomparissimo per sempre dal loro vicinato. Eppure, la loro pietà ci sostiene, ci offre un tetto ed un piatto, pur confinandoci in una dimensione alternativa, lontana dal loro mondo perfetto.
Ti prometto che coglierò la mia occasione e che il processo di trasformazione verso il mostro inetto che sono diventato invertirà il suo corso e mi libererà da questo guscio ostile per ridiventare la farfalla dei tuoi ricordi, che, con un ultimo volo, ritornerà da te, nella nostra verde terra, lontana dalle ombre che mi perseguitano.
VIAGGIO NELL’IGNOTO
Scivolai nel baratro delle tenebre, ove nulla è e tutto vaga, come un fantasma nella nebbia.
I miei occhi non videro, le mie orecchie non udirono, ma il cuore pulsava nella vita di quel mondo, ignoto a chi lo abitava.
Potei forse capire?
Le immagini v’erano, poi non v’era più nulla.
Ombre strisciavano lungo le mura dell’essere. Eppure è così facile…
Spettri si aggiravano intorno a me, mi accerchiavano, dopo il buio.
Bagliori e chiarori… Alzai gli occhi al cielo e la neve incominciò a cadere.
Candidi fiocchi di gelida nube si posavano su di me per poi disciogliersi. Racchiusa nella spirale della caduta, assaporai la freschezza dell’azzurro, ormai torbido ed impercettibile universo.
Una strada semi bianca, lugubri case deserte. Una città fantasma. Corsi per quella via e precipitai nel vuoto.
Nero, nero come la notte infinita perduta nei secoli dell’oblio.
Niente. Sento in questa parola l’assurdità del mistero, Il bisogno di sapere e la capacità di arrendersi. Dico niente e il niente v’era.
Aprii la mia anima alla luce e scorsi un pozzo ed io dentro. Dalla sommità invisibile non penetrava che un raggio grigio di vita. Dietro a me un passaggio. Lo osservai a lungo prima di decidermi ad entrarvi. L’umidità scorreva sulle tetre pareti; nelle narici l’odore aspro di muffa. Un grido. Il pipistrello della notte apparve e poi svanì.
L’angoscia nasceva, dilagava, le mie carni erano madide di lei. Tremavo, palpitavo nel terrore. Dov’ero? Si affacciò in me l’interrogativo; giammai avrei saputo…
Passi, i miei passi lenti e tremanti riecheggiavano nel tunnel. Il tunnel della morte? Così mi apparve, quando una scala arrugginita e solitaria si presentò ai miei occhi sbarrati.
“Sali, sali, non indugiare, sali.” Una voce sfumò nell’aria ed io salii.
“Inetto fariseo, cessa di trangugiare quella robaccia. I tuoi anchilostomi periranno.”
“Anchilostomi? Ma padrone, io ho fame.”
“Ti sei mangiato anche il cervello.”
“Conte, mi aiuti.”
“Ci sono ancora degli emitteri. Inghiottiscili e sparisci.”
Silenzio.
“Chi ha parlato?”
Nessuno rispose. Il buio si era dileguato e la luce infernale lampeggiava qua e là, da piccoli fori sulle pareti.
Ragnatele, insetti e polvere regnavano incontaminati su quelle ferragini di utilità. I mobili, inorridisco a dirlo! Forme mostruose che si atteggiavano a mobili, un’imponente scalea, poi un pianoforte, una porta immensa ed un lampadario centrale.
“Anacronistico, elimina quel quadro, lo detesto.”
“Sì, signore”
Una bara.
“Abbiamo visite.”
Un uomo, se così posso definirlo, si rivolse a me con tono inquisitore, era vestito di nero ed un grande mantello lo avvolgeva interamente. Il suo viso! Quale visione per i miei occhi! Un pallido volto evanescente, illuminava di spettrale quel corpo; i suoi occhi celavano le profondità abissali del suo essere e le labbra carnose e violacee accennavano un macabro sorriso.
Che cosa mi affascinò in lui? Ne rimasi colpita, senza fiato…
“Lapalissiano, mia cara. Lei non sa dove si trova. È così?”
“Sì”
“Allora venga con me.” Mi porse la sua gelida mano. “Non abbia paura, non la mangerò.”
“Chi è lei?”
“Se ti rispondessi, forse tu fuggiresti. Io non voglio, non ti farò del male, seguimi.”
“Seguirla?”
“Seguirti.”
“Sì, ti seguo.”
Non potei rifiutare, egli mi incantò, sentivo nascere in me una tale passione che sarei crollata ad una sua carezza e forse anche ad un solo sguardo. Ma egli mi guardò ed io non svenni. Mi condusse attraverso il castello. Fuori la notte.
“Adoro la notte ed il regno delle ombre. Il suo fascino e mistero colmano il vuoto dell’eternità. Sì, l’eternità, concepibile o meno, è l’essenza di tutto. Chi è immortale, immortale è.”
“Tu sei?”
“L’hai capito?”
“Sì”
“Sai anche il mio nome?”
“Conte non mi chiedere di dirtelo, dopo fuggirei… Se mai posso fuggire da qui.”
“Vuoi?”
“Dovrò”
Le sue labbra sulle mie e poi il terrore si impossessò di me ed io corsi via. Egli non mi fermò. La fuga, la paura… non mi chiesi il perché, io fuggii. Nelle mie orecchie milioni di voci allucinanti e diaboliche, il vuoto sotto di me. Caddi.
Mi ritrovai in quell’atmosfera d’angoscia e di silenzio che già prima mi aveva tormentata. All’improvviso una serie di immagini fantastiche ma note. Dinanzi agli occhi rividi la mia vita e le mie conoscenze, atrocemente veloci… Poi finalmente la luce. Come un paese incantato davanti a me, scoprii un mondo bellissimo, ove fiori e verde sbocciavano felici.
“E questo cos’è?”
“Domande, piccola, soltanto domande. È possibile che tu non sappia gustarti questo spettacolo.”
“Chi sei?”
“Io sono colui che vive.” Rispose una voce pittoresca se non buffa.
“Piuttosto tu, che cosa fai qui?”
“Dove ti trovi?”
“Sono davanti a te.” Dal nulla parve un ometto grazioso. “Mi chiamano Jolly. Sono contento di incontrarti.
Sai chi sono? Sapere è facile, non quanto volere.”
“Che posto è questo?”
“Non puoi chiedermelo, tu lo sai meglio di me.”
“Ma…”
“Arriva sul suo levriere bianco, bello più del sole, gioioso e sereno più del cielo, regale solitario più dell’aquila.”
“Di chi stai parlando?”
“Laggiù scorgi l’immagine che si fa man mano più vivida?”
“Vedo.”
“la Fenice.”
“Non capisco.”
“Rinasce dalle sue ceneri ogni qual volta la luce abbandona i suoi splendidi occhi.”
“È divino!”
“Forse, ma tu non perderlo mai.”
“Che dici?”
“Ricorda, egli deve esistere, il rischio è che potrebbe sparire e non ritornare più. Dipende da te.”
“Da me? Dove vai?”
“Ciao piccola! Ah Ah, il Jolly tornerà, trallallero, trallallà” E svanì.
Il cavaliere solitario si avvicinava lentamente mentre io, abbagliata, non potevo che seguire ogni suo gesto, ogni suo passo. Scese da cavallo.
“Ti ho trovata. Quel viso sereno, quegli occhi che tante volte ho sognato… Sono qui per te.”
“Parli con me?”
“Certo, ne dubiti?”
“Forse un po’, ma chi sei tu?
“Non sai chi sono?”
“Sì, la Fenice.”
“Già, la Fenice. Non mi ucciderai, vero? So che non lo farai perché tu mi ami.”
“Beh, sono imbarazzata.”
“Perché?”
“Come spiegartelo?”
“Forse non hai inteso. Io sono dentro di te, sono parte di te. Noi siamo da sempre uniti e vi rimarremo fino alla morte.”
Capisco, credo che tu abbia ragione ed io non ti ucciderò. Sono nata per vivere e tu devi vivere con me.
In me, cavaliere, non sarai più la Fenice ma la vita. Ora va, corri verso il sole, risplendi su di me, sono pronta a raccogliere i tuoi raggi.”
“Pur breve che sia, tutto ciò sarà gloria.”
Volò via sul suo cavallo alato per colmare di azzurro il bianco dell’immenso.
Rimasi sola, perplessa, sicura..
Si spense l’incanto, si spensero le tenebre… sola…
Ed il silenzio fu.
Li trovi anche qui...

Rudis Edizioni ha dedicato una raccolta alle fiabe contemporanee. Questa antologia si chiama Fiabe per sognatori ed è dedicata a chi non smette mai di credere nella magia e di guardare il mondo con occhi curiosi. Ogni fiaba invita i lettori in un viaggio unico, dove regni fatati e creature misteriose si incontrano e i sogni prendono vita.
Uno dei racconti di Laura Schellino è incluso in questa raccolta.
La raccolta sarà esposta nella fiera della piccola e media editoria di Roma “Più Libri Più Liberi” in programma dal 4 all’8 dicembre 2024.
Durante la giornata di sabato 7 dicembre alle ore 17.00 si svolgerà un firmacopie presso il nostro stand (D45 – Idrovolante) insieme a tutti gli autori e ai lettori che riusciranno a partecipare.
Incontra Laura
I racconti
I racconti sono testi originali in prosa di stampo a volte fantastico e a volte realistico. Rispetto al romanzo, il racconto è non solo più breve ma più riassuntivo con una narrativa dalla cadenza più veloce. Si differenzia dalla favola, perché rivolto generalmente ad un lettore più maturo, mentre la favola ha uno scopo principalmente didattico oltre che d’intrattenimento.
Molti grandi scrittori si sono cimentati nella composizione di racconti, partendo dal 1300 con Chaucer e i suoi Canterbury Tales e Boccaccio con il suo Decameron. Ma solo nel 1800 il racconto è diventato una forma espressiva più comune. Ricordiamo i racconti horror di Edgar Allan Poe fino ai più recenti di D’Annunzio, Pirandello e Calvino.
I racconti tendono a riassumere le vicende della storia, velocizzando la narrazione. In questo modo riescono ad arrivare dritti nel cuore dei lettori come una saetta, un concentrato narrativo denso di immagini ed emozioni forti. Italo Calvino sosteneva che questa forma di scrittura ha un passo simile a una salita ripida, seguita da una repentina discesa.
Alcuni autori attraverso il racconto sperimentano temi e linguaggi sempre differenti, differenziandoli così dai romanzi non solo per la lunghezza, ma anche per il il ritmo sostenuto. Si tratta quindi di storie da divorare, una vista sopra brevi squarci di mondo, che scompare subito dopo per il resto all’immaginazione.
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